mons. Corrado Sanguineti nominato Vescovo di Pavia
consacrato nella cattedrale di N. S. dell'Orto in Chiavari
Omelia Card. Angelo Bagnasco Cari fratelli nell’episcopato, nel sacerdozio e nel diaconato, autorità, cari fratelli e sorelle nel Signore, la chiesa di Chiavari gioisce perché un suo figlio diventa vescovo. Questa comunità ecclesiale dona il nuovo pastore alla comunità di Pavia. Con particolare affetto salutiamo i vescovi delle due chiese, sua eccellenza mons. Alberto Tanasini, che dona una sacerdote del suo clero, e sua eccellenza mons. Giovanni Giudici, che lo riceve come suo successore. La consacrazione di un vescovo non è solo un fatto di cronaca, ma un evento di grazia. La bellezza suggestiva della liturgia parla da sé, il candidato tra poco si prostrerà, diventando uno col pavimento di questa cattedrale, per ricordarsi che dovrà essere questa la forma della sua vita, sarà una semplice strada sulla quale gli altri potranno passare, non per fermarsi ma per andare verso Cristo. Ognuno vi passerà come potrà, con passo lento o veloce, sicuro o incerto, in modo delicato o rude, attento e consapevole o riottoso e volubile, a piedi nudi o pesantemente calzato, ognuno con la sua storia e nella sua umanità deve trovare nel vescovo la strada, che è Gesù. Caro Corrado, sarai calpestato e sentirai male all’orgoglio, alla sensibilità, agli affetti. Il senso della tua dignità avrà dei sussulti, ma in quei momenti saprai di essere attraversato dagli uomini che cercano, spesso senza accorgersi e a tentoni, la via del cielo, e allora sarai lieto di quelle sofferenze, perché sentirai di essere usato, nella tua piccolezza, da Dio dell’amore e della misericordia. Sarai lieto di non essere degno di slegare i sandali del Signore, come Giovanni, e di poter partecipare alla croce potente e salvatrice di Cristo, sì soprattutto allora sarai certo di essere sulla strada giusta, quella di Gesù, e per questo sarai grato sino alle lacrime di essere semplice strada. Soprattutto allora ti sentirai discepolo del divino Maestro, sapendo che solo così puoi essere veramente pastore del tuo popolo, e ricordando che nella Chiesa chi è investito di maggiore responsabilità è innalzato maggiormente sulla croce. Solo dall’alto di quella cattedra, infatti, il pastore può meglio vedere il suo gregge, conoscere ciascuno per nome, guardarlo negli occhi, riconoscerne la voce, ascoltarne il cuore, pascolarne i suoi, mescolando il suo povero sangue con quello redentore di Cristo. Pascolare il gregge e dare la vita nell’umile pazienza di ogni giorno, pazienza che è la prima virtù di chi è chiamato a guidare un popolo, pazienza che è forma dell’amore, che sa ascoltare con cuore di padre e fiducia di madre, pazienza che sa attendere, che manifesta la forza dell’anima nell’attenzione, nella delicatezza del tratto, pazienza perché sa che nulla è mai perduto e che sempre è possibile ricominciare nella via della vita. La croce di Cristo non esprime forse nel modo più alto il cuore misericordioso di Dio, che si piega su questo tormentato magnifico mondo, e non manifesta forse nella misura più smisurata la pazienza e la fiducia di Dio verso l’umanità spesso sbandata e smarrita come un gregge senza pastore? Mentre la croce svela tutto il dramma dell’amore nascosto sotto i panni del Dio che nasce, la luce del Natale che abbiamo appena celebrato svela l’infinita tenerezza nascosta sotto il duro legno della croce, sì tenerezza verso noi deboli e piccoli, peccatori e ostinati. Le parole del profeta Isaia ci presentano lo stile di Cristo: “come un pastore egli fa pascolare il gregge, e con il suo braccio lo raduna, porta gli agnellini sul petto, e conduce dolcemente le pecore madri”. Il vero pastore deve dunque agire con la tenerezza, la pazienza del Natale, e con la forza sacrificale feconda della croce. Nella misura in cui egli ne è abitato, potrà agire senza finzioni come Lui, pastore grande delle nostre anime. Lui, pastore dei pastori. Caro don Corrado, l’antichissimo rito dell’imposizione delle mani e la prece consacratoria ti immetteranno misteriosamente nella successione apostolica. Essa è un grande fiume dove i millenni trascorrono portando come acque tranquille o tumultuose, solenni o quotidiane, il patrimonio della parola di Dio, dei Papi e della Chiesa, dei Santi e dei Dottori, il magistero autentico, della fede del popolo credente, la fede dei semplici, la fede profonda dei semplici. In fraterna comunione col collegio episcopale, cum Petro et sub Petro, dovrai confermare la fede della tua comunità, responsabilità grande, che richiede non solo di essere maestro di fede, ma innanzitutto uomo di fede, e tali siamo quando il nostro magistero è accompagnato dal saper leggere le cose con gli occhi di Cristo, non con gli occhi del mondo, con gli occhi di Cristo, che fa delle umane vicende sempre una storia di grazia e di salvezza. Tu sai che molte sono le responsabilità del pastore, ma prioritaria - prioritaria – sarà la cura dei tuoi sacerdoti primi amici e collaboratori. Essi avranno bisogno di te, e tu di loro. Tale reciproco bisogno non è innanzitutto per ragioni pastorali, ma nasce da quel vincolo ontologico sacramentale, che fa del vescovo e del suo clero una cosa sola. La chiesa di Pavia, come il suo presbiterio, ha una storia fatta di volti, di nomi, di fatti, di speranze, di prove. Nessuna storia comincia con noi. Devi solo entrarci umilmente, sapendo che il pastore plasma sì la sua comunità, ma anche ne è plasmato. Sapendo che lì il Signore ti aspetta per incontrarti, e per scrivere un nuovo tratto di strada, cha ha come scopo – come ricorda il Concilio Vaticano II – solo la “salus animarum”, che è la gloria di Dio. Non temere, non sei solo, fra la tua gente troverai Gesù, la Madonna, i Santi della tua chiesa. Ti siamo vicini anche tutti noi, tuoi confratelli nell’episcopato, il clero chiavarese, tanti che qui ti hanno conosciuto e ti vogliono bene. La nostra preghiera non verrà meno, insieme a quella quotidiana intensa del tuo popolo.
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