Questi è il Figlio mio, l’amato - Mc 9,1-9

La natura con la sua bellezza può condurci a Dio

La vetta di un monte ha sempre uno speciale fascino. Penso che sia capitato a tutti, magari al tempo in cui eravamo più giovani, di salire su qualche montagna, anche del nostro Appennino, ma meglio ancora se delle Alpi o delle Dolomiti. Una volta giunti sulla cima, ci siamo dimenticati in fretta di tutta la fatica fatta per raggiungere quel traguardo. Quando si raggiunge una vetta, di fronte all’ampio panorama che ci si apre davanti alla luce del sole che splende, magari amplificata dal riflesso abbagliante della neve, sorge dentro di noi un sentimento che esprimiamo con le parole: “Mi sembra di toccare il cielo con un dito”.

Anche per un ebreo il monte ha un particolare fascino, perché “il monte” è il luogo dell’incontro con Dio, il monte che si alza dalla pianura verso il cielo, dà l’impressione di essere più vicini alla presenza di Dio. Salire sul Tabor, questa ripida collina che si eleva nella pianura della Galilea, poco distante da Nazareth, permette in poco tempo di sottrarsi alla confusione del contatto con la gente, per ritrovarsi nel silenzio e nella solitudine. Possiamo davvero credere che fosse un luogo frequentato da Gesù. Poi c’è il segno della luce: è naturale rappresentare la presenza di Dio con la luce che illumina, abbaglia e scalda. Invece le tenebre sono segno opposto cioè l’assenza di Dio. Anche il monte, dove Mosè sale per ricevere le tavole della legge è tutto avvolto da bagliori e a contatto con Dio il volto di Mosè rimane luminoso, tanto che per giorni deve mettere un velo sulla faccia perché si possa parlargli, senza rimanere abbagliati.

Di particolare valore sono anche la presenza di Mosè e di Elia, profeti dei quali nella Scrittura si dice che hanno visto Dio. Di essi non racconta che siano morti, ma che abbiano vissuto una sorta di assunzione al cielo.

Il vangelo di oggi

Marco 9,1-9 :

« Diceva loro: «In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza».

Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.

Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. ».

Da tutti questi elementi possiamo dedurre che ciò che viene raccontato è una “Teofania”, cioè una manifestazione della presenza di Dio, e questa manifestazione si realizza nella persona di Gesù.

C’è qui già una prima riflessione importante che possiamo fare sul significato di questo episodio: cercare Dio è il senso della vita dell’uomo, nella presenza di Dio l’uomo riconosce le sue origini e il suo destino, dalla relazione con Dio possiamo riconoscere la nostra identità e il nostro valore. Dio si è reso visibile e incontrabile nella persona di Gesù. Dio ha dunque il volto di Gesù.

L'esperienza di Lui non è statica, non può "essere congelata" a un dato momento

C’è però un altro aspetto molto importante: Pietro, che ha preso coscienza del significato di quella esperienza, vorrebbe rendere definitivo quel momento, ma la visione scompare e gli apostoli ritornano a vedere Gesù nel suo aspetto umano. Scendendo dal monte, Gesù interpreta l’esperienza fatta come un anticipo della sua Pasqua, del suo passaggio attraverso la morte verso la risurrezione. Molti altri segni mettono in relazione la Trasfigurazione con la morte e risurrezione di Gesù, infatti, solo allora avverrà la vera trasfigurazione e nella persona di Gesù si manifesterà la presenza di Dio. La trasfigurazione è dunque una preparazione e un aiuto per vedere la presenza di Dio nell’amore che illumina di senso il dolore, nell’amore che perdona anche chi lo uccide, nell’amore che si consuma per generare vita, e tutto questo accade in Gesù, crocefisso e risorto. Ecco il messaggio per questa seconda domenica di quaresima: la vita si realizza quando ci si apre a Dio, ma Dio si fa presente quando si rivive la pasqua di Gesù, la sua morte e risurrezione. La manifestazione di Dio è quando riaccade la Pasqua, quando una persona accoglie una croce continuando a fidarsi dell’amore di Dio, quando una persona sa chinarsi su un fratello per alleggerire la sua croce. Se apriamo gli occhi e prestiamo attenzione a ciò che ci accade intorno, possiamo vedere che la presenza di Dio è anche qui, molto vicina a noi. Noi stessi possiamo essere trasfigurati nella presenza di Dio.

il Parroco