Attirerò tutti a me - Gv 12-20-33

E' l'altro che ci dice chi siamo, che ci illumina ...

Il vangelo di oggi ci racconta di alcuni stranieri in visita a Gerusalemme che, avendone sentito parlare, chiedono di poter vedere Gesù perché pensano che abbia qualcosa di importante da dire sulla vita.

I nostri ragazzi che stanno vivendo nella adolescenza il tempo nel quale ricercare la propria identità, fanno spesso riferimento ai personaggi più in vista dello sport o dello spettacolo e li eleggono come propri eroi, li scelgono come modelli di vita. Succede anche a noi adulti di restare affascinati da qualche personaggio pubblico e di sceglierlo come rappresentativo della vita che immaginiamo felice.

In risposta a quella domanda Gesù invita a non fermarsi ad uno sguardo esteriore, ma ad entrare nel suo mondo interiore volgendo lo sguardo alla direzione che sta dando alla sua vita, alla scelta che sta facendo, che lo porterà sulla croce.

Il vangelo di oggi - la forza vitale del paradosso

Giovanni 12-20-33 :

« Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».

La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire. ».

Il vangelo apre uno squarcio e ci fa entrare nell’animo di Gesù, nel quale risuona forte una domanda: “Che cosa dirò?” Gesù vive in quel momento la nostra stessa esperienza, anche noi siamo spesso posti di fronte alla domanda: “A chi o a che cosa mi appiglio, per riuscire a dar senso alla vita?”. Alla mente di Gesù appare anche l’alternativa di sottrarsi alla sofferenza, di chiedere al Padre di sottrarlo alla prospettiva della croce. Gesù che si trova di fronte ad un appuntamento decisivo, quello che il Vangelo di Giovanni chiama “la sua ora”, quell’ora della quale tante volte si dice che non era ancora giunta e che Gesù dice infine “che è venuta”. L’ora di Gesù è quella nella quale egli si trova di fronte alla sofferenza della passione, alla violenza di chi lo rifiuta e lo uccide; vede dunque come imminente la sua morte. In quel particolarissimo frangente Gesù riconosce ancora che c’è una relazione che lo fa vivere: sa di essere figlio amato e pone la sua fiducia nella presenza del Padre al quale si consegna. Anche noi guardando a Gesù, possiamo riconoscere che la relazione sperimentata nelle persone che ci vogliono bene ha il suo compimento nella relazione con il Padre di Gesù che è anche Padre Nostro.

Dal paradosso della croce nasce uno sguardo nuovo alla realtà, decisamente generativo

Dal far entrare profondamente nella nostra interiorità la consapevolezza dell’amore di Dio per noi, deriva uno sguardo nuovo sulla nostra persona. L’amore che illumina la vita di Gesù anche di fronte alla sua morte è amore anche per me, anche di fronte a tutte le ragioni che io trovo per dire che non sono meritevole di amore. Credere all’amore del Padre fa vedere anche in noi la presenza del bene, anche se rimaniamo coscienti del nostro limite e del nostro peccato. Dal credere vero l’amore del Padre nasce dentro di noi la gioia.

Accogliendo l’amore del Padre e lasciandolo radicare nel profondo della nostra interiorità, inizia un percorso nel quale perdono progressivamente importanza una serie di cose nelle quali normalmente mettiamo la nostra fiducia, e senza le quali ci sembra di non poter vivere. Si inizia un percorso di libertà. Liberi dal far dipendere la vita dalle cose che possediamo, come quotidianamente insinua la pubblicità, per cui se non possediamo l’ultimo accessorio di moda non siamo all’altezza della società; liberi dal confrontarci col giudizio delle persone, per cui viviamo cercando che gli altri si formino un’opinione positiva di noi. Si potrebbe prolungare con tanti altri esempi questo elenco, diciamo solo che si diventa liberi perché si è fedeli a se stessi, appoggiati sul bene che Dio mette in ciascuno di noi.

Dal fondare la vita sulla relazione con Dio, che attraverso Gesù conosciamo come il Padre che ci ama, nasce uno sguardo nuovo sugli altri, perché possiamo vederli nella stessa luce dell’amore da cui noi stessi ci sentiamo amati. Abbiamo il compito di essere strumento, perché lo stesso amore che ci fa vivere si realizzi anche per tutti gli altri, magari proprio attraverso di noi. Questo amore deve raggiungere in modo privilegiato coloro che sono segnati dalla durezza della vita. Far entrare dentro la luce dell’amore del Padre, è un percorso che fa fiorire una vita nuova a somiglianza di Gesù.

il Parroco