Io sono il pane della vita   Gv 6,41-51

Chi non ha detto a un bimbo, a una figlia, "ti mangerei..." ?

Il pane, anche non fatto con la nobile e più preziosa farina bianca di frumento, costituisce da tempo quel cibo alla portata di molti, che con poco costo è capace di calmare la fame e di nutrire. Proprio perché tutti possono capire il valore del pane, Gesù si definisce il Pane vivo, disceso dal cielo. Con questa immagine Gesù ha inteso presentare se stesso come il dono che viene da Dio e, comunicando il suo amore, offre la risposta al bisogno più importante della vita di ogni persona. Abbiamo già ampiamente parlato del valore simbolico del cibo, avere fame è un’immagine che utilizziamo per esprimere l’esperienza del bisogno che ogni persona prova nella vita. Ci sono bisogni materiali e ci sono bisogni più profondi, come l’attesa di essere amati e di poter dare valore alla propria persona. C’è un pane che si offre e anche la necessità di ricevere quel pane e di mangiarlo.

La Parola di oggi

Giovanni 6,51-58

« In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». ».

Il gesto del mangiare fa si che qualcosa di esterno a noi, che ricaviamo dalla natura come parte del regno vegetale o animale, entra in noi e avvenga uno scambio nel quale il cibo cede al nostro organismo quegli elementi che lo nutrono e lo fanno vivere.

Proprio attraverso il corpo di Gesù, la sua parola, i suoi gesti e infine con il suo corpo trafitto dai chiodi si è manifestato e reso visibile l’amore. Mangiare il corpo di Gesù significa realizzare un procedimento simile a quello del cibo, far entrare in noi nel profondo della coscienza la rivelazione e il dono dell’amore.

Ciascuno di noi ha un ambito interiore, “solitamente lo chiamiamo coscienza”, nel quale elabora la consapevolezza della propria identità e alla luce di questo, formula un sistema di valori o di significati che lo arricchisce (il bene) e che lo impoverisce (il male).

Amare, essere amati, una sorgente di senso... arrendersi, o meglio affidarsi

Mangiare il corpo di Gesù significa rispondere alla domanda che tutti ci facciamo: “Da dove attingo il mio valore?” “Il mio valore è dato dall’amore che Dio ha per me, come mi ha testimoniato Gesù”. Alla luce di questa consapevolezza posso vedere ciò che mi arricchisce nell’esperienza di essere amato e ciò che m’impoverisce perché mi allontana dall’amore.

Per fare un esempio potremmo scegliere uno degli atteggiamenti fondamentali che guidava la vita di Gesù. In tutte le cose che faceva e in ogni momento della giornata Gesù viveva sapendo che Dio era suo Padre e sapeva di essere amato da Lui con infinito amore. Questa fiducia nel Padre portava Gesù a conservare sempre la pace sia nei momenti favorevoli sia in quelli difficili. Dalla fiducia nell’amore del Padre Gesù ha tratto la forza per rimanere fermo di fronte a Pilato e al Sinedrio. Dal sapersi amato dal Padre Gesù ha fatto derivare il compito di offrire l’esperienza di un tale amore anche agli altri, soprattutto ai piccoli a quelli che non erano amati.

Gesù ci ha detto: “Non solo io sono amato dal Padre, Dio ama anche te e lo puoi pregare come lo prego io”. Ascoltare queste parole di Gesù ci porta a formulare la domanda: “Come cambierebbe la mia vita se in ogni momento io credessi davvero che Dio mi ama?”. Io penso che cambierebbe di molto: se mi lasciassi guidare da questo pensiero e sperimentassi questo cambiamento, allora sentirei Gesù come una presenza che vive dentro di me. Ecco cosa significa mangiare Gesù: far si che Lui non sia semplicemente una presenza esteriore che conosco sui libri, ma sia una presenza interiore che guida la vita.

Perché si realizzasse questo processo del mangiare il suo corpo, Gesù ha costituito nell’Eucarestia il sacramento della sua presenza, in modo che si possa realizzare con Lui una relazione di comunione; perché anche noi si possa dire: “Tu, Gesù, non sei fuori di me, ma sei dentro di me”. Sono due percorsi che s’integrano e si intrecciano. Mentre ricevo nell’eucarestia il corpo di Gesù, occorre che nell’anima il suo modo di vivere diventi il mio modo di vivere.

il Parroco