Se è motivo di scandalo, tagliala   Mc 9,38-43.45.47-48

I vangeli sono un racconto, non una cronaca, non sono la vita di Gesù

Poiché nessuno dei discepoli ha registrato le parole di Gesù mentre le pronunciava, ma le hanno tramandate a memoria, quando le hanno scritte è stato più facile ricordare non ampi discorsi, ma una serie di detti, di proverbi o di brevi sentenze. Leggendo il vangelo ci accorgiamo che queste sentenze a volte non sono esposte in modo tra loro coerente, ma espongono temi diversi, legati insieme dalla somiglianza delle parole. Abbiamo un esempio di ciò che sto dicendo nel vangelo di oggi, che raccoglie una serie di sentenze di Gesù legate dalla parola “scandalo” o “scandalizzare”. Un’altra premessa che dobbiamo fare è intenderci sul significato del termine scandalo, che dal contesto capiamo corrispondere a “essere di ostacolo alla fede”. Pertanto dobbiamo pensare che ci sia scritto: “Chi sarà di ostacolo alla fede di uno di questi piccoli”. Oppure: “Se la tua mano è un ostacolo alla tua fede, tagliala”. Sappiamo che Gesù utilizzava tutte le forme del linguaggio: a volte il dialogo conviviale, ma anche l’ironia, l’umorismo, a volte la minaccia e l’invettiva. Gesù non metterebbe pietre al collo di nessuno, ma quell’immagine ci fa capire quanto egli consideri grave il comportamento denunciato.

La Parola di oggi

Marco 9,38-43.45.47-48

« In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue». ».

In questa sezione l’evangelista ci dice che Gesù rifuggiva dalle folle numerose per dedicarsi maggiormente alla formazione dei discepoli; potremmo perciò raccogliere le riflessioni sotto il titolo: “il volto del discepolo”.

Il testo di oggi è molto complesso e articolato, sarebbe necessaria un’analisi che non possiamo fare in questo momento, pertanto ci soffermeremo solamente su due riflessioni.

• La prima potremmo intitolarla: “ L’essere discepolo è un dono ”. A Giovanni, che vorrebbe l’esclusiva della relazione con Gesù, facendo distinzione tra chi appartiene al gruppo dei discepoli e chi è fuori, Gesù dice che nessuno può rivendicare il monopolio della relazione con Lui. Possiamo applicare questo insegnamento a situazioni di vita che sperimentiamo: quando distinguiamo tra i “nostri” e gli altri, tra chi è dentro la Chiesa e chi è fuori, tra chi appartiene a una esperienza ecclesiale o chi semplicemente si riconosce nella comunità parrocchiale. Gesù dice che sono con lui tutti gli operatori di pace senza altra etichetta.

• La seconda riflessione la potremmo intitolare: “ L’essere discepolo è un compito ”. Quando una persona fa l’esperienza di ricevere amore, di questo amore ne diventa responsabile. Se un’amicizia genera in me la gioia, se quell’amore mi aiuta a sentirmi valorizzato e importante, è naturale che faccia ogni cosa per non perdere quella relazione e operi in modo che quell’amore possa continuare. Cercherò allora di non deludere l’amico, di corrispondere alle sue attese e di contraccambiare la sua amicizia.

Anche l’amore ricevuto da Dio genera in noi una responsabilità che ci impegna a nostra volta a una risposta d’amore. Non perché Dio abbia bisogno del nostro amore, ma siamo noi che abbiamo bisogno di amarlo, perché rispondiamo all’amore quando ci lasciamo amare.

Proprio sulla responsabilità di accogliere con libertà l’amore di Dio e di corrispondere ad esso, ci richiamano le parole forti del Vangelo che ascoltiamo oggi.

La vita di ogni persona si esprime a più livelli: c’è quello del corpo che si esprime attraverso l’istinto di conservazione che ci segnala con la fame il nostro bisogno di mangiare, c’è poi il livello dei sentimenti e della dimensione emotiva, c’è poi il livello della ragione e dei significati elaborati dalla conoscenza, c’è poi il livello dello Spirito che cerca il senso profondo dell’esistenza. Questi livelli possono entrare in conflitto, un esempio banale è il desiderio di mangiare mentre la riflessione della ragione può suggerirti che troppo cibo fa male. Occorre vigilare perché ci sia armonia tra i vari bisogni e i diversi desideri. Anche l’apertura dello Spirito a Dio può entrare in conflitto con gli altri desideri.

Penso che ognuno di noi possa riconoscere quali siano i suoi idoli, che ci ostacolano dal porre la fiducia in Dio a fondamento della vita.

La responsabilità richiede un impegno, come ogni storia d’amore chiede un impegno. Infatti, l’amore lo si impara giorno dopo giorno, rivelandosi reciprocamente attraverso il dialogo gli aspetti che non piacciono dell’altro e le qualità che potrebbero essere messe più in luce. Così attraverso l’ascolto della Parola, possiamo capire ciò che dobbiamo “tagliare” o quale aspetto di noi possiamo valorizzare di più. Ci aiuta in questo il sacramento della Riconciliazione, con il quale chiediamo perdono delle nostre infedeltà e formuliamo il proposito di corrispondere al perdono ricevuto.

il Parroco