Nessun servitore può servire due padroni Lc 16, 1-13
« In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: Sebbene abbiamo udito altre volte questa parabola e quindi conosciamo la sua esistenza nel vangelo, tuttavia ogni volta che la ascoltiamo continua a suscitarci delle perplessità. Una prima domanda riguarda la coerenza del racconto: appare inverosimile che il padrone che scopre la truffa organizzata dal sorvegliante a suo danno, facendogli mancare il raccolto dei suoi mezzadri, lodi poi il suo operato e non lo prenda per il collo o lo chiami in giudizio davanti al giudice. Se le lodi non sono del padrone, ma sono di Gesù, ugualmente proviamo meraviglia che venga lodato il comportamento di un uomo disonesto che, se vivesse oggi, noi vorremmo fosse condannato e chiuso in prigione per un buon periodo. Dobbiamo sempre ricordarci che Gesù utilizza un particolare genere letterario e che si tratta di una parabola; ora questo tipo di racconto è diverso dalla narrazione edificante proposta come esempio, è diverso dai racconti allegorici. La parabola insegna attraverso un punto focale che richiama la nostra attenzione. Individuiamo questo centro perché fa nascere in noi lo stupore per un comportamento inaspettato. Infatti, seguendo la narrazione della vicenda, ad un certo punto siamo portati a pensare: “Ah però!” “Che furbone è stato costui, una trovata geniale pur nella sua disonestà”. L’amministratore è chiaramente definito “disonesto” e non c’è nessun appiglio che ci faccia apprezzare o giustificare il suo comportamento. Gesù vede nell’azione disonesta dell’amministratore due aspetti che sono comunque istruttivi e che se fossero convertiti e utilizzati nella vita dei discepoli sarebbero fonte di energie positive. Il primo atteggiamento da rilevare è che quell’uomo si trova con l’acqua alla gola e in quella circostanza individua nella sopravvivenza l’unico bene che gli interessa e ad esso finalizza ogni suo comportamento. Nella situazione dell’amministratore, c’è un bisogno che è diventato prioritario ed è come possa garantirsi le risorse sufficienti per sopravvivere, assicurandosi la possibilità di avere da mangiare e di avere un tetto sulla testa. C’è un altro aspetto presentato dalla parabola: possiamo pensare che fino a quel momento l’amministratore disonesto abbia inseguito soltanto il suo personale interesse, l’orizzonte che guidava la sua vita era l’orizzonte del proprio io. Di fronte a quella situazione di emergenza, si accorge che da solo non riuscirà a far fronte al suo problema, ed è allora che ha l’intuizione fondamentale che lo porta ad accorgersi degli altri, maturando la consapevolezza che non potrà salvarsi da solo, ma si salverà soltanto attraverso i legami con gli altri. Gesù trasferisce questo ragionamento ai suoi discepoli, proponendo anche a loro di individuare un obiettivo principale, che costituisce l’emergenza alla quale occorre far fronte. L’obiettivo che interpella il discepolo di Gesù è quello di trovare una visione complessiva della vita, un principio che fornisca il senso unitario dell’esistenza, che permetta di vivere nonostante la complessità e la frammentarietà delle diverse esperienze. Potremmo dire che, trovare un significato complessivo della vita che permetta di superare la paura che si prova al pensiero della morte, questo è l’obiettivo prioritario per il quale essere disponibili ad impiegare tutte le risorse. Nel commento finale, Gesù applica l’insegnamento della parabola al rapporto dell’uomo con la ricchezza. Già abbiamo detto che è un tema molto caro all’evangelista Luca, che su questo argomento riporta molti insegnamenti di Gesù, di certo più numerosi rispetto a quanto fanno gli altri evangelisti. Gesù definisce la ricchezza come disonesta: penso che questo aggettivo ci sembri esagerato per designare ogni ricchezza e forse è così, ci sono infatti ricchezze [ modeste ] guadagnate onestamente attraverso il lavoro. Gesù vede nelle ricchezze un pericolo; tutti noi abbiamo subìto la tentazione di far dipendere dal possesso di un qualche bene la nostra felicità o siamo stati indotti a vedere gli altri con i loro bisogni come una potenziale minaccia. Gesù approfondisce il principio che aveva enunciato: “la vita di un uomo non dipende dai suoi beni” dicendo che le ricchezze ci sono affidate con una finalità altruistica. Sì, le ricchezze, anche quelle guadagnate con un onesto lavoro, sono un dono, non un diritto, e sono da utilizzare secondo quel disegno di Dio che vuole realizzare la felicità di tutti. |
il Parroco |