Signore, da chi andremo?

 Gv 6, 24-35   Tempo Ordinario XXI


+ Dal Vangelo secondo Giovanni

« In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: "Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?".
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: "Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono".
Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: "Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre".
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: "Volete andarvene anche voi?". Gli rispose Simon Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio". »

Si conclude in questa domenica la lettura del capitolo sesto del vangelo di Giovanni che abbiamo seguito a partire dall’ultima domenica di luglio. In questo capitolo abbiamo ascoltato un dialogo serrato tra Gesù e i Giudei, il Maestro ci ha detto che siamo persone che hanno fame, ma non solo di pane, il vero bisogno è piuttosto quello di essere consapevoli del valore della vita. Per rispondere alle domande: “Che cosa ti dà dignità?”. “Che cosa ti dà forza di fronte alla paura della morte?”. Gesù ha fatto la sua proposta: “Ti dà dignità, ti dà forza il credere all’amore che Dio come un padre ha per te e il suo amore lo dà attraverso di me che vengo da Lui e io mostrerò il suo amore offrendo la mia vita fino a morire”. Domenica scorsa, per la coincidenza con la festa dell’Assunzione di Maria al cielo, abbiamo saltato una parte importante. Se avessimo continuato il vangelo di Giovanni avremmo ascoltato la parola di Gesù che insiste sulla necessità di mangiare il suo corpo e bere il suo sangue. Con queste parole non vuole parlarci soltanto della necessità di accostarci alla comunione eucaristica, sacramento col quale noi crediamo che mangiamo il suo corpo. Il gesto del mangiare fa si che qualcosa di esterno a noi e, che ricaviamo dalla natura come parte del regno vegetale o animale, entra in noi e avvenga uno scambio nel quale il cibo cede al nostro organismo quegli elementi che lo nutrono e lo fanno vivere.

Proprio attraverso il corpo di Gesù, la sua parola e i suoi gesti e infine con il suo corpo trafitto dai chiodi, si è manifestato e reso visibile l’amore. Mangiare il corpo di Gesù significa realizzare un procedimento simile a quello del cibo: far entrare in noi nel profondo della coscienza la rivelazione e il dono dell’amore. Potremmo spiegare meglio dicendo che mangio il Corpo di Gesù perché credo vero per me oggi l’amore di Dio, come Gesù l’ha donato sulla croce e da questo amore faccio dipendere il mio essere felice. Mangio il corpo di Gesù perché accetto di identificarmi con Lui e scelgo di vivere nei confronti del prossimo lo stesso amore che Lui ha vissuto.

Oggi sono messi a confronto due modi opposti di reagire di fronte alla parola di Gesù. Da una parte ci sono i Giudei, ma il vangelo ci dice che c’erano anche coloro che avevano iniziato a seguire Gesù, i quali sentono quella parola troppo esigente e lo abbandonano. Dall’altra parte c’è il gruppo del quale si fa portavoce Pietro che esprime la decisione della fede in Gesù, perché riconosce la corrispondenza tra il bisogno di senso e la testimonianza della sua parola.

Potremmo dire che la liturgia di oggi ci invita a riflettere sull’atto della fede, presentandola come una scelta, una decisione della libertà. La focalizzazione di questo tema è sostenuta anche dalla prima lettura, che ci presenta il famoso episodio della assemblea di Sichem, nel quale Giosuè chiede al popolo degli Ebrei, appena entrato nella terra promessa, di confermare la scelta di restare fedeli alla alleanza con Dio sancita nel deserto.

La fede è " cosa di pancia ... " la ragione, la riflessione, la conoscenza di sé, possono solo aiutare

La decisione della fede non s’impone come la conclusione della spiegazione di un teorema matematico o di un sillogismo filosofico, per cui arrivati alla fine del ragionamento si è portati necessariamente a concludere: “È vero, è proprio così”.

Anche se comporta uno sforzo di conoscenza, anche se richiede un cammino di riflessione, la fede è un atto più profondo di una conoscenza intellettuale, è un atto più globale, che coinvolge la totalità della persona, è un atto che assomiglia all’amore. Cosi la fede in ultima analisi, trova la sua giustificazione nella corrispondenza tra ciò che cerco e l’esperienza della vita vissuta nella sua luce. Come appunto dice Simone: “Da chi andremo, solo con te abbiamo sperimentato una corrispondenza tra la tua Parola e la nostra domanda di vita”.

il Parroco