Egli è vicino, è alle porte.
Mc 13, 24-32 Tempo Ordinario XXXIII
« In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: La vita degli uomini è regolata dal moto di rotazione della terra attorno al suo asse, che genera l’alternanza del giorno e della notte e dal moto di rivoluzione attorno al sole che genera il percorso dell’anno con il passare delle stagioni. L’esperienza religiosa del popolo ebraico ha assunto un ritmo annuale, con le diverse feste che facevano memoria degli interventi salvifici di Dio a favore del suo popolo, e che segnavano le diverse stagioni dell’anno. Anche noi cristiani dividiamo il percorso del tempo in cicli annuali: attraverso i diversi periodi liturgici e le varie feste, ogni anno ripercorriamo la vita di Gesù guidati dal vangelo. Il nostro anno non inizia il primo di gennaio, ma verso la fine di novembre con l'inizio del tempo di Avvento che quest'anno sarà il giorno ventotto. Ci troviamo pertanto vicini alla fine dell'anno e questo periodo coincide con la conclusione della lettura del vangelo di Marco, che ci ha accompagnato nella liturgia della domenica. Quando riflettiamo sullo scorrere del tempo, siamo portati a mettere più attenzione agli avvenimenti negativi che ci spaventano, che fanno guardare con incertezza al futuro, che ci incutono preoccupazione. Anche l'anno che sta finendo lo possiamo presentare attraverso l’alternanza di angoscia e di speranza, la pandemia ha ancora fortemente condizionato la nostra vita; se durante l’estate si è attenuata la diffusione del virus e ha permesso la ripresa di una vita quasi normale, di nuovo in questi giorni ritorna la preoccupazione. Con la stessa angoscia gli uomini antichi guardavano gli avvenimenti, essi avevano perciò generato un particolare linguaggio per parlare del tempo con il quale mettevano in riga gli eventi più terribili e spaventosi: guerre, carestie, pestilenze, terremoti; chiamiamo questo linguaggio “apocalittico” perché è maggiormente presente nell'ultimo libro della Bibbia che si chiama “Apocalisse”. Quando noi facciamo questo drammatico elenco di sventure, concludiamo come gli antichi Greci affermando che il tempo è governato dal caos e non c'è nessun disegno di salvezza che si sta svolgendo nel tempo. Molti modi di vivere della nostra società sono improntati a questo modo di pensare. Uno dei sintomi di questa mentalità è la cultura dello “ sballo ” così diffusa tra i giovani, pronti a sperimentare ogni cosa pur di arrivare all’eccesso, senza saper valutare le conseguenze dei loro comportamenti. Invece i profeti apocalittici affermavano che in ultimo sarebbe stato evidente l’intervento di Dio a stabilire la giustizia. * Anche nel vangelo è presente il linguaggio apocalittico, con esso Gesù invita a guardare alla storia con speranza, dicendo che Dio agisce nella storia e che in ultimo la vita si compirà con un incontro con Lui. Dio che si è rivelato attraverso Gesù nel suo essere amore, sarà Lui ad avere l’ultima parola, che sarà una parola di bene, perché il suo amore non può venir meno, perché il suo amore è più forte della morte, perché il suo amore è per sempre. * Da questa lettura della storia deriva per il credente un richiamo alla responsabilità: il tempo che è dato da vivere non è uno spazio vuoto da lasciar scorrere in atteggiamenti passivi, ma è lo spazio da riempire con scelte personali e responsabili. Abbiamo la possibilità di utilizzare il tempo esercitando la nostra libertà, indirizzando i nostri comportamenti, operando per modificare il corso degli eventi in modo che anche attraverso di noi si compia quel disegno come l’ha pensato e come lo sta costruendo Dio stesso. Un modo di agire da cristiani nel tempo che ci è dato da vivere è quello che ci è indicato da papa Francesco nel suo messaggio per la giornata dei poveri. * Gesù, non solo sta dalla parte dei poveri, ma condivide con loro la stessa sorte. Questo è un forte insegnamento anche per i suoi discepoli di ogni tempo. Le sue parole “i poveri li avete sempre con voi” stanno a indicare anche questo: la loro presenza in mezzo a noi è costante, ma non deve indurre a un’abitudine che diventa indifferenza, bensì coinvolgere in una condivisione di vita che non ammette deleghe. I poveri non sono persone “esterne” alla comunità, ma fratelli e sorelle con cui condividere la sofferenza, per alleviare il loro disagio e l’emarginazione, perché venga loro restituita la dignità perduta e assicurata l’inclusione sociale necessaria. |
il Parroco |