La fece alzare prendendola per mano.
« In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se vuoi, puoi purificarmi!". Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, sii purificato!". E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
« In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se vuoi, puoi purificarmi!". Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, sii purificato!". E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
Secondo il Racconto dei Vangeli, Gesù ha incominciato a percorrere le strade della Galilea con l’intento di mostrare come si vive quando si accoglie la fede nella vicinanza di Dio e del suo essere Amore. Egli ha svolto questo proposito con le sue parole, ma particolarmente con la cura verso le persone sofferenti: nella sinagoga ha liberato un uomo posseduto dallo spirito impuro, poi ha guarito la suocera di Simone, più tardi tanti ammalati portati sullo spiazzo davanti alla porta della città. In questa domenica il vangelo ci presenta l’incontro con un malato colpito da una malattia molto più grave. Oggi non si parla più della malattia della lebbra, perché sono state scoperte medicine che la possono curare, anche se è ancora diffusa nei paesi più poveri dell’Africa e dell’Asia. Al tempo della mia adolescenza, grande impressione aveva suscitato il racconto della vita di Albert Schweitzer, un grande teologo diventato medico e partito per l’Africa a fondare un ospedale perché non gli bastava parlare di Gesù, ma sentiva la necessità di mettere in pratica il suo messaggio. Uguale interesse aveva suscitato la vicenda di Raoul Follereau, il giornalista francese di successo che durante una battuta di caccia in Africa, dopo aver incontrato alcuni lebbrosi, fece della lotta alla lebbra lo scopo della sua vita. Ricordo anche l’impressione che aveva suscitato il racconto della vita di padre Damiano e dei malati dell’isola Molokai e la proiezione del film a lui dedicato. In passato, la forma ripugnante con cui si manifesta la malattia, le sue conseguenze così invalidanti e mortali, e ancora la sua contagiosità, ponevano il malato di lebbra in una condizione di terribile emarginazione. Anche la prima lettura ci ha fatto capire qual era la condizione raccapricciante di un malato di lebbra ai tempi di Gesù. Ciò che appare ancora più sconcertante è che il testo sacro attribuisce a Dio la volontà di considerare impuro tale malato e fosse sua volontà la conseguente emarginazione. Possiamo comprendere che ci fosse la necessità di preservare gli altri dal contagio, ma è difficile per noi accettare che tale legge esprimesse la volontà di Dio, attribuendogli l’intenzione di caricare il malato di una simile emarginazione, considerandolo addirittura impuro e rifiutato da Dio. Proprio queste considerazioni danno valore all’azione di Gesù: se la legge chiedeva di tenere il malato distante, Gesù permette invece che il malato gli si avvicini; se la legge imponeva di considerare il lebbroso un impuro, Gesù lo considera invece una persona. Toccando il lebbroso, egli esprime la volontà di mettersi in relazione, di immedesimarsi con lui, di caricarsi della stessa condizione d’impurità. Gesù, che agisce lasciandosi guidare dalla volontà di Dio, ci dice che Egli non esclude e non maledice nessuno, che per Dio nessuno è impuro o escluso per sempre. Perché Gesù guarisce? Non lo fa per mostrare di possedere dei poteri soprannaturali, quanto piuttosto per mostrare che la compassione è la caratteristica di Dio e deve essere la caratteristica dei credenti. Prendersi cura dei malati di ogni genere non è per la Chiesa un’ “attività opzionale”, no! Non è qualcosa di accessorio, no. Prendersi cura dei malati di ogni genere fa parte integrante della missione della Chiesa, come lo era quella di Gesù. |
il Parroco |