Conosco le mie pecore.


Tempo di Pasqua IV - Ciclo B - Colore bianco


Ez 34,6-7 34,23-25


+ Dal libro del profeta Ezechiele

« Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura. Perciò, pastori, ascoltate la parola del Signore:
Susciterò per loro un pastore che le pascerà, Davide mio servo. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore; io, il Signore, sarò il loro Dio e Davide mio servo sarà principe in mezzo a loro: io, il Signore, ho parlato. Stringerò con esse un'alleanza di pace e farò sparire dal paese le bestie nocive, cosicché potranno dimorare tranquille anche nel deserto e riposare nelle selve. »


Gv 10, 11-18


+ Dal Vangelo secondo Giovanni

« In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». »

Possiamo pensare che nella società in cui viveva Gesù accadesse con frequenza di vedere greggi e pastori, trattandosi di una società basata in prevalenza sull’agricoltura e sulla pastorizia. Per spiegare la parola di Gesù non è però necessario fare riferimento alla maggiore diffusione dell’allevamento delle pecore, l’ispirazione che ha suggerito a Gesù di presentarsi come il buon pastore, la possiamo trovare nelle pagine dell’Antico Testamento: ci sono infatti tanti testi, soprattutto dei profeti e nei salmi, che utilizzano l’immagine del pastore per parlare di Dio. Di particolare interesse è una pagina del profeta Ezechiele al capitolo trentaquattro, che contiene una dura requisitoria contro i capi di Israele e contro i sacerdoti, accusandoli di essere cattivi pastori. A conclusione dell’atto di accusa Dio promette: “Susciterò per loro un pastore che le pascerà, il mio servo Davide. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore.”. Gli esegeti, studiosi del vangelo, pensano che come si dice più avanti nel corso del capitolo, Gesù abbia pronunciato queste parole durante la festa ebraica della Dedicazione, e che si leggesse in quella circostanza proprio il testo del profeta Ezechiele. Gesù avrebbe annunciato di essere quel pastore promesso da Dio e che tutti continuavano ad aspettare.

Con l’immagine del pastore, Gesù vuole rappresentare la relazione che Dio vive con ogni uomo come una relazione d’amore; il pastore infatti agisce cercando continuamente il benessere delle pecore. Proprio dalla presenza e dalla cura del pastore dipende la vita delle pecore: egli procura il cibo necessario, le difende da altri animali e dai pericoli, procura un riparo dalle intemperie, le cura in occasione della malattia. L’azione vitale del pastore è espressa anche dal paragone con il mercenario, il quale agisce nella ricerca dell’interesse personale e di fronte al pericolo salvaguarda se stesso, abbandonando le pecore al loro destino.

C’è un particolare aspetto che mi piace sempre rilevare in questo vangelo: la relazione del pastore verso le pecore avviene attraverso la loro conoscenza. Gesù infatti dice: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore”. Sappiamo che avviene proprio così, quando noi guardiamo un gregge, le pecore ci sembrano tutte uguali, ma per il pastore ognuna è unica, tanto che ciascuna ha il suo nome.

Alla luce di questa parola dobbiamo pensare che ciascuno di noi è amato da Dio ed è conosciuto personalmente, come dice il salmo: “Tu mi scruti e mi conosci”. Che cosa comporta porre l’accento sulla conoscenza nella relazione? Significa che la relazione è personalizzata: pur essendo un amore dato a tutti, non raggiunge tutti vedendoli come una massa uniforme, ma coglie ciascuno nella propria singolarità.

Pensare che la relazione di amore che Dio vive nei nostri confronti è pari alla relazione che Gesù ha vissuto con le persone che ha incontrato, pensare che è una relazione personale, arricchisce molto l’esperienza spirituale. Ogni persona è unica e diversa dalle altre: diversa per genere maschile o femminile, diversa per età in quanto giovane o adulta, diversa per le circostanze della sua vita, ma ancor più diversa per la singolarità del suo carattere. Pensare che Dio ama riconoscendo la singolarità di ciascuno, vuol dire che ciascuno deve dare a Dio una risposta di amore in base alla propria singolarità. C’è dunque un cammino cristiano che ognuno deve vivere valorizzando la singolarità della sua persona.

La vita di discepolato cristiano va vissuta in una dimensione comunitaria, che si esprime nell’appartenere al gregge della Chiesa che ciascuno arricchisce con il suo percorso individuale. Questa riflessione può aiutare a capire il tema della vocazione, sul quale oggi siamo chiamati a riflettere. “Vocazione” è riflettere su come utilizzare le nostre capacità per rispondere all’amore di Dio. Cercare di fare incontrare l’amore di Dio con la nostra singolarità, valorizzare tutti gli aspetti della nostra personalità per seguire Gesù: questo vuol dire vivere la vita come vocazione.

il Parroco